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Digital Tax: Italia best practice fra i paesi membri dell’UE

lentepubblica.it • 26 Maggio 2016

digital taxTre volte sul podio del fisco 2.0 e apripista nell’impiego di servizi e procedure sempre più formato byte. Il triplice successo dell’Amministrazione finanziaria italiana è registrato nell’ultimo Rapporto 2015 – Tax Administration Comparative Information – elaborato dall’Ocse, in cui si certifica la leadership dell’Agenzia delle Entrate nell’impiego di moderni processi telematici fino a riconoscerne il ruolo di riferimento, e di caposcuola, esercitato da anni nei confronti delle altre Amministrazioni dei Paesi partner, anch’essi proiettati da un decennio sulle nuove opportunità offerte dal digitale.

 

Dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche – Per cominciare, in Italia il 100% delle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche viaggia attraverso canali telematici coordinati e gestiti dall’Agenzia delle Entrate. Più indietro gli altri grandi Paesi industrializzati, anch’essi con platee di decine di milioni di contribuenti, tra i quali, a sorpresa, anche gli Stati Uniti, con l’83% delle dichiarazioni individuali sull’autostrada del digitale. Poco o tanto? Senz’altro al di sotto delle aspettative per il Paese che ospita la Silicon Valley. Lo stesso vale per il Regno Unito, anch’esso indietro, si ferma all’ 85% delle dichiarazioni individuali trasmesse in formato file, e questo nonostante i massicci investimenti “lunari” fatti nel corso del decennio passato. Ancora più in basso nella classifica figurano la Francia e la Germania, con flussi digitali di dichiarazioni individuali pari rispettivamente al 34% e al 50%. Insomma, una rivincita di Roma su Berlino, con il campione dei Paesi mediterranei, l’Italia, che stravince le sfida del fisco telematico con la ragioniera d’Europa, la Germania. Più articolato il discorso sui Paesi emergenti. La Cina non esibisce dati, non pervenuta, mentre l’India stacca il bollino dell’80% ma c’è da mettere in conto un dato distintivo del sub-continente indiano. Generalmente, infatti, le dichiarazioni monitorate rappresentano una quota minoritaria rispetto a ciò che offre l’economia, dove il sommerso e il nero la fanno da padroni assoluti. Basti pensare che i contribuenti individuali in India sono in numero di poco oltre l’asticella dei 100milioni, il che equivale a porsi una domanda ovvia: gli altri 200 o 300 milioni dove sono finiti? Chiudiamo con la Russia, con un bottino magro, dato che il fisco digitale russo chiude al 7%, ben lontano da ogni indice di apprezzabilità. La rivelazione invece è simbolizzata dal Sudafrica la cui Amministrazione fiscale gestisce oramai la quasi totalità delle dichiarazioni dei redditi in formato byte. L’importanza di questo dato deriva dal fatto che, nonostante le criticità sudafricane, il Paese sembra essere più di altri predestinato, in un futuro non così lontano, ad aprire le porte della modernità, economica e tecnologica, all’interno continente africano. E questo nonostante le enormi disparità che ancora ne segnano la storia presente.

 

 

 

 

Paesi industrializzati ed economie emergenti Dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche
Italia 100
Stati Uniti 83
Regno Unito 85
Francia 34
Germania 51
Giappone 50
Spagna 99
Coreda del sud 91
Australia 93
Canada 76
Irlanda 91
Israele 95
Olanda 96
Svezia 63
Cina N.D.
Hong Kong 15
India 80
Russia 7
Nuova Zelanda 83
Singapore 97
Sudafrica 99

 

 

Nella tabella è indicato, in percentuale rispetto al dato complessivo, il numero delle dichiarazioni individuali che i grandi Paesi industrializzati trasmettono, lavorano e archiviano annualmente impiegando piattaforme informatiche.
Fonte: Ocse, Rapporto 2015 sulle Amministrazioni finanziarie (i valori riportati nella tabella sono espressi in percentuale).

 

 

 

Dichiarazioni Iva e delle società formato file – Pessima la performance tedesca sulle società, e per una volta Berlino e Atene sono appaiate. Scorrendo le tavole statistiche relative all’invio, alla lavorazione e all’archiviazione delle dichiarazioni dei redditi per le dichiarazioni Iva e per le società la leadership dell’Agenzia delle Entrate si conferma evidenziando la stessa performance, 100%. Più indietro i Paesi Ocse industrializzati. Gli Stati Uniti, per esempio, non oltrepassano la soglia del 44% delle dichiarazioni delle imprese trasmesse in via telematica, mentre le dichiarazioni Iva non trovano ospitalità in quanto nel Paese non è applicata l’imposta sul valore aggiunto modello europeo ma centinaia di diverse tasse sulle vendite, difficili da elencare e da registrare, oltre all’imposta federale. Nel Regno Unito, il 99% delle dichiarazioni Iva e il 98% delle dichiarazioni delle società sono trasmesse e lavorate attraverso canali telematici, mentre in Francia, i medesimi valori percentuali sono rispettivamente 82% e 96%. Nessuno dei due Paesi centra l’obiettivo del 100%, anche se per il Regno Unito è d’obbligo segnalare un passo avanti significativo, almeno rispetto a quanto esibito negli anni passati. La Germania, con l’80% delle dichiarazioni Iva e “0” dichiarazioni delle società inviate in formato file, occupa le ultime posizioni. Un punto questo critico per il sistema produttivo e fiscale tedesco. Anche perché sempre più spesso le raccomandazioni ad orientarsi su di un sistema fiscale telematico, in particolare riguardo le aziende, è oramai costante sia in sede FMI sia per l’Ocse stessa. Eppure, Berlino è lenta nel recepire, come lo è Atene.

 

 

 

 

Grandi Paesi industrializzati Dichiarazioni Iva Dichiarazioni dei redditi delle società
Italia 100 100
Stati Uniti 44
Regno Unito 99 98
Francia 82 96
Germania 80
Giappone 63 64
Spagna 95 99
Corea del sud 83 98
Cina
India 100
Russia 64 68
Canada 64 70
Sudafrica 95 95
Singapore 100 69

 

 

Nella tabella è indicato, in percentuale rispetto al dato complessivo, il numero delle dichiarazioni Iva e delle società che i grandi Paesi industrializzati trasmettono, lavorano e archiviano annualmente impiegando piattaforme informatiche.

 

Fonte: Ocse, Rapporto 2015 sulle Amministrazioni Finanziarie (i valori riportati nella tabella sono espressi in percentuale).

 

 

 

Il nuovo digital divide fiscale – La media Ocse indica nel 60% i flussi delle dichiarazioni dei redditi che ogni anno sono inviate, lavorate e archiviate dalle Amministrazioni finanziarie di tutto il mondo ricco secondo procedure completamente informatizzate. Per l’Italia si sale al 100%, decisamente al di sopra della performance registrata mediamente dai Paesi industrializzati nel loro complesso. Dunque, il rischio da evitare consiste nell’emergere d’un gap digitale in materia di fisco. Criticità questa che, anche alla luce dell’adozione della dichiarazione dei redditi precompilata, non sembra riguardare l’Italia quanto piuttosto altri Stati partner tra cui, per esempio, la Germania, oltre alla Cina e alla Russia, lente nell’aprirsi al fisco digitale. Come Panama, del resto, dato che risulta a tutt’oggi tra le giurisdizioni con un’Amministrazione fiscale ancora rigidamente ancorata al cartaceo, inclusi i servizi.

 

Se puntare sul digitale significa “risparmio” – Il dato che più interessa il nostro Paese non viene dall’Ocse ma dagli Usa. Il fisco statunitense, infatti, da tempo punta su di una strategia che prevede la digitalizzazione di ogni singolo servizio e la progressiva cancellazione delle procedure rituali, con il contribuente che chiama un call center o si reca presso un ufficio. Nell’affinare questi obiettivi l’Irs, cioè l’equivalente della nostra Agenzia delle Entrate, ha condotto diversi studi e ricerche giungendo a una conclusione sì ovvia, ma per la prima volta condita di numeri reali. La digitalizzazione dei servizi genera risparmi significativi. In pratica, all’incirca 10 euro, senza scomodare la divisa Usa, per ogni singola dichiarazione dei redditi inviata tramite canali telematici, lavorata, archiviata in forma di file e, in caso, riutilizzata successivamente. Insomma, il lavoro classico degli uffici del fisco grazie all’informatizzazione dei processi al 100% genererebbe risparmi significativi i quali, tra l’altro, crescono a seconda che si tratti di una dichiarazione dei redditi d’una società o d’un professionista, mentre sono più lievi per le dichiarazioni dei contribuenti individuali. Anche il risparmio risponde a dinamiche produttive. Ad ogni modo, la stima minima che ne vien fuori è quella simbolica dei 10 euro. Per tornare a noi, nel caso del fisco italiano, considerando le dichiarazioni e i documenti lavorati e gestiti dalle Entrate tramite Entratel e Fisconline, i due canali d’eccellenza della nostra Amministrazione finanziaria, si tocca la cifra di più di 1,2 miliardo di documenti, tutti inviati, lavorati ed archiviati in formato byte.

 

Grazie al fisco digitale 10 miliardi di euro di risparmi in 15 anni, dal 2001 ad oggi – Ora, considerando la copertura delle spese sostenute per avviare la rete telematica del fisco italiano, il risparmio netto può lambire i 10 miliardi di euro, spalmati su di un periodo che va dal 2001 ad oggi. Gli anni precedenti, ’98-2000, sono una sorta di fase d’avvio, di sperimentazione, i cui benefici sono utilizzati per ammortizzare i costi d’avvio della trasformazione del fisco italiano nelle sue procedure base. Dunque, a conti fatti, nei 15 anni passati le Entrate italiane grazie all’impiego dei sistemi telematici a regime hanno risparmiato all’incirca 660 milioni di euro l’anno. E si tratta d’una stima minima che potrebbe anche raggiungere il miliardo l’anno. Una cifra più che significativa che guarda solo al lato delle voci d’uscita, cioè di spesa, del bilancio pubblico. La stima infatti non tiene in considerazione il risparmio che l’avvio del telematico ha prodotto per i privati, per le imprese, per i lavoratori autonomi, professionisti e artigiani, e per gli stessi lavoratori dipendenti. Difficile stimare questo dato ma presto, di sicuro, l’Amministrazione Usa riuscirà a chiudere il cerchio, anche perché si parla apertamente di ulteriori investimenti sul fisco digitale nella misura di 200 o 300 milioni di dollari l’anno.

 

Comunque, veniamo all’Italia – L’avvio della precompilata, quest’anno siamo alla seconda stagione segnata dal 730, e da Unico Web, in versione precompilata, senza dubbio estende le condizioni favorevoli ad ulteriori risparmi. In aggiunta, s’inserisce nel discorso l’avvio delle comunicazioni preventive, degli alert e degli “inviti” che le Entrate già da tempo hanno iniziato a utilizzare in modo più deciso. Questo cosa comporta? Lasciamo la questione della maggiore compliance, tema pacifico questo e oramai ampiamente acquisito, e restiamo su quello del risparmio. Anche in questo caso, gli scambi digitali tra fisco e contribuenti è destinato a sostituire il telefono e le visite presso gli uffici. Le prime, le comunicazioni, hanno un costo che s’aggira sui 20 centesimi, mentre le procedure tradizionali per dialogare con i contribuenti, telefono o ufficio, hanno un costo notevole rispetto alle mail, diciamo sull’ordine dei 30 euro. Basta tenere in mente questo differenziale, 20 centesimi piuttosto che 30 euro, per comprendere la svolta dell’impiego del digitale sia per quanto riguarda il fisco sia per ogni settore dell’Amministrazione pubblica.

 

Una iniziativa a suo tempo giudicata velleitaria –  Il successo dell’iniziativa tecnologica, di cui oggi si vedono gli effetti, rientra a pieno titolo nell’operazione “Fisco a portata di mouse”, lanciata a partire dal ’98, dal primo Direttore dell’Agenzia italiana delle Entrate, Massimo Romano. Una iniziativa che molti, a suo tempo, etichettarono come inefficace o addirittura fantasiosa, insensata. Ancora prima che le Agenzie fiscali vedessero la luce.

Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Stefano Latini
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